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giovedì 4 febbraio 2016

Pitagora di Samo e il segreto della setta dei pitagorici.

Pitagorici riuniti per celebrare il sorgere del Sole (Fëdor Bronnikov, 1869)

Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Pitagora di Samo (-570; -495) è la figura più poliedrica, stravagante e controversa della storia del pensiero occidentale, ma allo stesso tempo anche la più nota e influente. 

Fu astronomo, matematico e scienziato, politico, mistico e taumaturgo. 

Le notizie su Pitagora oscillano tra realtà e leggenda al punto che alcuni studiosi hanno addirittura messo in discussione la sua esistenza.

Per quanto ne sappiamo, nacque nell'isola di Samo e fu scolaro di Ferecide e Anassimandro. C'è chi sostiene che fosse figlio di un uomo facoltoso di nome Mnesarco, altri che suo padre fosse il dio Apollo.

Si dice, ma non è certo, che viaggiò in Egitto e Babilonia dove apprese parte della sua sapienza. Infine si stabilì a Crotone, nella Magna Grecia, dove fondò la sua scuola.

Quella di Pitagora più che una scuola fu, allo stesso tempo, una setta mistico-religiosa, una comunità scientifico-filosofica e un partito politico aristocratico che, sotto questa veste, governò alcune città dell'Italia meridionale. 

I membri della setta venivano iniziati e dovevano sottostare a precise regole, alcune delle quali davvero stravaganti...

Un buon pitagorico non doveva consumare fave; raccogliere ciò che è caduto a terra; toccare i galli di colore bianco; spezzare il pane; addentare una pagnotta intera; scavalcare le travi; attizzare il fuoco con il ferro; strappare le ghirlande; sedersi su di un boccale; mangiare il cuore; camminare sulle strade maestre; permettere alle rondini di nidificare sul tetto; lasciare traccia della pignatta nelle ceneri quando viene tolta dal fuoco; guardare in uno specchio a lume di candela; lasciare l'impronta del proprio corpo sulle coperte al risveglio...

Gran parte di questi precetti derivano dalle antiche concezioni del tabù. Per quanto riguarda l'astensione dal consumo di fave, invece, si può azzardare una spiegazione sanitaria volta a limitare i casi di favismo particolarmente diffusi nella zona del crotonese.

Pitagora (Samo, 570 a.C.  – Metaponto, 495 a.C. ) fu matematico, taumaturgo,
 astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una scuola iniziatica

Pitagora è considerato l'iniziatore del vegetarianismo in occidente. Si dice che considerasse l'abitudine di mangiar carne come un'inutile strage, dato che i vegetali offrono la possibilità di nutrirsi senza spargimenti di sangue.  

Il suo giudizio in merito era netto: «Finché gli uomini massacreranno gli animali, si uccideranno tra di loro. In verità, colui che semina il seme del dolore e della morte non può raccogliere amore e gioia».

Alcuni riconducono questa scelta alimentare ad una delle sue dottrine principali: la metempsicosi, ovvero la trasmigrazione delle anime.

Ad un individuo che stava facendo del male ad un cane disse: «Cessa, non percuoterlo, poiché d'un uomo amico è l'anima che io riconobbi, udendo la sua voce».

Pitagora, infatti, affermava l'immortalità dell'anima dell'uomo e che quest'ultima fosse caduta sulla terra a causa di una colpa originaria.

Per questo era condannata a reincarnarsi passando da un corpo all'altro - animali inclusi - fin quando non sarebbe riuscita a ripristinare lo stato di purezza originario; uno stato che avrebbe potuto riottenere compiendo degli appositi rituali, rispettando i dettami della setta e, soprattutto, dedicandosi alla conoscenza per mezzo di una scienza disinteressata.

L'essere umano può essere un filosofo che ama e desidera il sapere, ma non può possederlo interamente; liberandosi dal peccato dell'ignoranza può avvicinarsi a Dio, l'unico che possiede tutta la verità. 

In questo modo, in fine, l'anima si sarebbe ricongiunta alla divinità. 

Con Pitagora la conoscenza diviene uno strumento di purificazione; l'ignoranza una colpa da cui ci si può liberare mediante il sapere.

È questo il principale elemento di novità rispetto all'Orfismo che già predicava la dottrina della metempsicosi.

La redenzione necessita di un approfondimento contemplativo della conoscenza, che era una conoscenza di tipo matematico.

I membri della setta pitagorica vivevano in comunione di beni e perfino le donne erano ammesse con pari diritti rispetto agli uomini.

Coloro che appartenevano alla cerchia più ristretta dei discepoli venivano chiamati matematici; erano gli unici che potevano interagire con Pitagora e avere accesso al sapere più profondo.

Vi era poi una cerchia di seguaci esterni alla scuola, gli acusmatici, ai quali non era imposto alcun precetto ed era consentito di partecipare in silenzio alle lezioni divulgative del maestro; costoro potevano conoscere soltanto la parte essoterica della dottrina.

Si dice che Pitagora avesse l'abitudine di parlare da dietro una tenda per dare un tratto oracolare ai suoi eventi pubblici; egli appariva come il depositario di una sapienza divina che non poteva essere messa in discussione.

A chi osava obiettare si rispondeva: «L'ha detto lui». Da qui nacque il principio di autorità, l'«ipse dixit» latino.

Nel corso degli anni i pitagorici esercitarono una notevole influenza politica, ma il loro appoggio all'aristocrazia ne determinò la rovina.

Il popolo, infatti, si ribellò in nome della democrazia, assalì i pitagorici e ne incendiò le sedi, distruggendole. In molti perirono, altri fuggirono. 

Tra quest'ultimi c'era Pitagora che, braccato dagli scagnozzi di Cilone di Crotone, incappò malauguratamente in un campo di fave e a quel punto preferì farsi raggiungere - e uccidere - piuttosto che attraversarlo.

Ma questa è solo l'ennesimo aneddoto. Altri sostengono, in modo più verosimile, che riuscì a mettersi in salvo a Metaponto, dove morì.

Ben presto Pitagora divenne una sorta di profeta e la sua figura sfumò nella leggenda.

Col passare del tempo venne costruita un'immagine soprannaturale del filosofo come mito della religiosità pagana da contrapporre al dilagante Cristianesimo e alla rispettiva figura mitologica di Gesù Cristo.

È estremamente difficile ricostruire e distinguere i contributi di Pitagora da quelli dei membri della sua scuola, perché non lasciò nulla di scritto; tuttavia i suoi discepoli gli attribuirono un'estesa dottrina arrivando anche a scrivere opere a suo nome.

Nella setta dei Pitagorici le scoperte scientifiche e matematiche erano considerate collettive e, in senso mistico, dovute a Pitagora, perfino dopo la sua morte.

A complicare le cose l'obbligo del segreto imposto ai membri più ristretti della cerchia, i matematici, che sfociava in misteri e simbolismi atti a velare il vero significato della dottrina, in modo che gli insegnamenti non fossero comprensibili ai profani e non diventassero di pubblico dominio.

Nonostante tutto, a distanza di qualche secolo, Porfirio cercò di ricostruire il contributo filosofico di Pitagora e concluse che i punti fondamentali ammessi dalla tradizione erano: 

«Che l’anima è immortale; inoltre, che essa trasmigra in altre specie di animali; inoltre, che in periodi determinati, ciò che è stato rinasce, che nulla è assolutamente nuovo; e che bisogna riconoscere la stessa specie a tutti gli esseri che ricevono la vita». 

Ma Pitagora fu anche uomo di scienza e fondatore di una scuola matematica. 

Chiunque ha sentito parlare del Teorema di Pitagora, ma in pochi sanno che né l'enunciato né la dimostrazione di quel risultato sono dovuti al personaggio da cui quel teorema prende il nome.

Già i babilonesi, e forse anche gli antichi egizi, erano al corrente che in un triangolo rettangolo la somma dei quadrati dei lati adiacenti all'angolo retto (detti cateti) eguaglia il quadrato del lato opposto all'angolo retto (detto ipotenusa), ma non erano in grado di fornire una dimostrazione generale. 

Una conquista che, con ogni probabilità, è successiva anche a Pitagora, il quale sembra si sia limitato a riscoprire in modo indipendente soltanto l'enunciato in un modo molto originale...

La leggenda narra che intuì il suo teorema mentre stava aspettando di essere ricevuto dal tiranno di Samo, Policrate. 

Seduto in un grande salone, Pitagora si mise ad osservare le mattonelle: erano quadrate, come a formare una scacchiera.

Rappresentazione della dimostrazione di un caso particolare del Teorema di Pitagora.

Improvvisamente si accorse che se avesse tagliato in due una piastrella lungo una diagonale, avrebbe ottenuto due triangoli rettangoli uguali. 

Inoltre, l'area del quadrato costruito sulla diagonale di uno di essi, risulta uguale al doppio dell'area di una piastrella, ovvero è pari a 4 triangoli ottenuti suddividendo a metà una piastrella, cioè 2 piastrelle intere; ma i quadrati costruiti sugli altri lati del triangolo corrispondono ognuno all'area di una piastrella. 

Ne consegue che l'area del quadrato costruito sulla diagonale, pari a 4 mezze mattonelle, è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui lati, pari a 2 mezze mattonelle per 2.

La leggenda parla di un caso particolare del più generale Teorema di Pitagora che, in realtà, sussiste per ogni tipologia di triangolo rettangolo della geometria Euclidea; ma anche se ciò non è di per sé sufficiente a fornirne una dimostrazione generale del risultato, rappresenta di certo un buon supporto visivo per cogliere l'idea sottesa ad una delle tante possibili dimostrazioni di quel celebre teorema (lo scienziato statunitense Elisha Scott Loomis ne ha classificate ben 371 differenti).

Ma allora, quale furono i contributi di Pitagora e dei suoi seguaci? 

Sostanzialmente Pitagora fu il primo che intuì l'importanza della matematica per descrivere il mondo.

Si dice che stesse passeggiando a Crotone seguito dai suoi discepoli, quando passò di fronte alla bottega di un mastro ferraio e udì i suoni dei martelli che battevano sulle incudini.

Incuriosito, si fermò ad ascoltarli, e si accorse che alcuni di essi si accordavano bene tra loro mentre altri invece stridevano.

Così entrò nella bottega ed iniziò a fare degli esperimenti. Prese due martelli uguali e si assicurò che producessero lo stesso suono battendoli sulla medesima incudine. I due oggetti erano in rapporto 1 a 1.

A questo punto prese 2 martelli di peso doppio l'uno rispetto all'altro, li batté sull'incudine e scoprì che i suoni erano gli stessi ma a un'altezza doppia. I martelli avevano masse in rapporto 2 a 1. Oggi diremmo che si tratta della stessa nota ma ad un'ottava superiore, come due Do successivi.  

Prese poi 2 martelli che erano 1,5 volte più pesanti l'uno dell'altro, picchiò l'incudine, ascoltò e si accorse che i suoni erano differenti ma consonanti. Il rapporto era di 3 a 2 e l'intervallo di separazione un intervallo di quinta, ad esempio Do-Sol.

E ancora, con un rapporto di masse pari a 4 a 3, ottenne note differenti ma consonanti, riproducendo un intervallo di quarta, ad esempio Do-Fa.

Continuò così a fare delle prove avvalendosi di un monocordo, e si rese conto che ciò che valeva per i pesi dei martelli funzionava per la lunghezza della corda di quello strumento.

Tese una corda fra due ponticelli, ed ottenne una nota di un'ottava superiore semplicemente dimezzandone la lunghezza, ponendo un ulteriore ponticello al centro dello strumento; ne pose un altro a 2/3 e riprodusse l'intervallo di quinta, e così via...

In questo modo Pitagora maturò l'idea profonda che il mondo fisico della Natura e il mondo della musica e delle arti, fossero messi in comunicazione da un ponte che è la matematica. 

Le frazioni di numeri interi, da una parte descrivevano i rapporti fisici di pesi e lunghezze e dall'altra i rapporti armonici musicali.

Pitagora comprese allora che la matematica è un linguaggio universale e su questa intuizione costruì la sua filosofia: esiste un'armonia del mondo che può essere conosciuta mediante rapporti fra numeri naturali (1, 2, 3,..., n,...).

Tutto ciò rappresenta in estrema sintesi il mito costituivo della scienza e del suo linguaggio che è la matematica.

Il motto dei pitagorici che racchiude l'essenza della filosofia di Pitagora è «Tutto è numero», o più precisamente, «Tutto è numero razionale», dato che i numeri che i pitagorici utilizzarono per descrivere l'armonia del mondo erano quelli che oggi, non a caso, chiamiamo numeri razionali che, sostanzialmente, sono rapporti tra numeri interi.

L'archè, ricercato dai pensatori naturalisti della Scuola di Mileto, con i pitagorici si fece numero.

Perché se è vero che i principi originari, come l'acqua indicata da Talete, mutano qualitativamente, è altrettanto vero che conservano la quantità, che è misurabile e quindi traducibile in numero, vero e ultimo fondamento della realtà.

Ed ecco che i numeri assunsero un ruolo centrale e si caricarono di simbolismi.

L'uno rappresentava il punto, ma anche la sorgente di tutti gli altri numeri, il principio primo. Non veniva considerato né pari né dispari ma «parimpari», poiché aggiunto ad un pari dà un dispari ed aggiunto ad un dispari restituisce un pari; 

il due era un simbolo femminile, rappresentava l'opinione, e geometricamente individuava la linea; 

il tre era un simbolo maschile, individuava una superficie piana; 

il quattro rappresentava la giustizia, in quanto suddivisibile equamente da ambo le parti, ma simboleggiava anche una figura solida.

Il cinque era la vita e il potere; la stella inscritta in un pentagono regolare era elevata a simbolo della setta dei pitagorici.

La stella a cinque punte inscritta in un pentagono
 regolare era il simbolo della setta dei Pitagorici.

Anche il dieci rivestiva un'importanza fondamentale: era considerato il numero perfetto.

Quando veniva rappresentato disponendo dieci punti in modo da formare un triangolo equilatero, prendeva il nome di Tetraktys. 

La Tetraktys aveva un carattere sacro per i pitagorici che su di essa prestavano giuramento.

Poteva anche essere interpretata come la somma dei primi quattro numeri fondamentali e quindi, in un certo senso, rappresentava un compendio dell'intero universo.

Rappresentazione della Tetraktys sulla quale i Pitagorici prestavano giuramento.

Dato che anche i corpi celesti compiono movimenti regolari esprimibili numericamente, i pitagorici arrivarono ad affermare l'esistenza di un'armonia nelle sfere celesti, che però gli umani non riescono ad udire.

Pensavano che il cosmo fosse costituito da un fuoco centrale e attorno ad esso ruotasse il Sole, che ne rifletteva la luce, e poi ci fossero la Terra, la Luna, i 5 pianeti noti all'epoca e le stelle fisse, una conformazione a cui aggiunsero l'Antiterra, per raggiungere il numero 10 che per essi rappresentava la perfezione.

Per ironia della sorte, fu lo stesso Teorema di Pitagora a mettere in crisi la dottrina dei pitagorici.

In un triangolo rettangolo isoscele, cioè avente cateti con la medesima lunghezza, l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale al doppio dell'area di ciascuno dei quadrati costruiti sui due lati adiacenti all'angolo retto.

Supponiamo che i cateti siano lunghi 1 metro, quant'è lunga l'ipotenusa?

Per quanto detto, è sufficiente trovare quel numero che elevato al quadrato restituisce il valore 2, ma si dà il caso che quel valore non possa essere espresso come rapporto tra interi. 

Supponiamo per assurdo che la lunghezza dell'ipotenusa sia di m/n metri (con n, m numeri naturali). 

Se m e n hanno un fattore comune, riduceteli: prima o poi, m o n finirà con l’essere dispari.

Ad esempio, se m = 12 = 6*2 e n = 10 = 2*5 allora m/n = 12/10 = 6/5.

Sappiamo che (m/n)^2 = 2 e almeno uno tra n e m è dispari.

Ora, da sopra, m^2 = 2n^2, quindi m^2 è pari, poiché è uguale ad un multiplo di 2, quindi anche m è pari, dal momento che un dispari elevato al quadrato è ancora dispari e non pari. 

Supponete quindi m = 2p.  Allora (2p)^2=4p^2 = 2n^2 , e quindi n^2 = 2p^2  e perciò anche n è pari, il che è assurdo in quanto contraddice l’ipotesi.

Di conseguenza nessuna frazione m/n con m e n interi misurerà l’ipotenusa, quindi esistono quantità incommensurabili, come la diagonale del quadrato di lato unitario, appunto, perché il numero che elevato al quadrato restituisce 2, ovvero la radice quadrata di due, è irrazionale.

Era questa la terribile scoperta che doveva rimanere segreta perché altrimenti avrebbe minato alle fondamenta l'impianto filosofico di Pitagora.

Ma il suo scopritore, Ippaso di Metaponto, divulgò queste nozioni all'esterno della scuola, contravvenendo alle prescrizioni del figlio di Apollo. 

Così, per la sua empietà, fu colpito dall'ira divina e morì naufragando nel mare che bagna Crotone. 

Nonostante ciò, l'influsso Pitagorico fu notevole nel corso della storia del pensiero.

Il primo a trarne ispirazione fu Platone che ereditò l'idea dell'importanza della matematica come linguaggio per descrivere il mondo e sviluppò una filosofia basata su forme elementari di tipo matematico.

Anche l'affermazione di Galileo secondo cui i caratteri della lingua con cui è scritto l'universo sono oggetti matematici è ispirata al pensiero pitagorico. 

Keplero arrivò ad intitolare la sua più grande opera “L'armonia del mondo”, e sostenne d'aver scoperto la sua Terza legge ipotizzando l'esistenza di un'armonia nell'universo, che si sarebbe manifestata attraverso dei rapporti musicali.

Ebbene, la terze legge di Keplero afferma che il quadrato del tempo T che un pianeta impiega a percorrere le propria orbita è proporzionale al cubo della sua distanza media r dal Sole.

In formule T^2 = k r^3, dove k è una costante, e questo rapporto di 3 a 2 significa che c'è un rapporto di quinta nell'armonia che regola il moto dei pianeti. 

Anche Newton sostenne di aver scoperto la legge di gravitazione universale immaginando di applicare i risultati dell'armonia musicale di Pitagora alle dinamiche del moto dei corpi celesti.

Conducendo degli sperimenti con delle corde a cui vengono appese delle masse, si può studiare come variano i suoni al variare della tensione della corda.

In questo modo si può scoprire che la frequenza di un suono è direttamente proporzionale alla radice quadrata della tensione.  

Ma dal momento che la frequenza di un suono è anche inversamente proporzionale alla lunghezza della corda, ne consegue che la tensione di una corda è inversamente proporzionale al quadrato della sua lunghezza.

Quindi, tornando a Newton, se immaginiamo che l'universo sia una grande lira suonata dal dio Apollo, e in questa metafora la tensione delle corde è la forza che lega il Sole ai pianeti, poiché la tensione della corda di uno strumento è inversamente proporzionale al quadrato della sua lunghezza, allora anche la forza di attrazione deve essere inversamente proporzionale al quadrato della distanza di ciascun pianeta dal Sole. E stranamente così è.

Ed ecco che anche questa legge può essere riletta come l'ennesima manifestazione dell'armonia del mondo, in continuità con la filosofia Pitagorica.

E ancora, per giungere ai giorni nostri, basta passare dal macro al micro, ovvero dalla legge di gravitazione alla moderna Teoria delle stringhe.

Secondo questa teoria, i costituenti ultimi e fondamentali dell'universo sarebbero delle stringhe di dimensioni infinitesime ma non nulle; ciascuna di esse può vibrare in modi diversi, e ogni stato di vibrazione determina un tipo di particella sub-atomica. 

Semplificando, si ritiene che caratteristiche quali la massa di una particella, ma anche i modi in cui può interagire, dipendano essenzialmente dalla vibrazione delle stringhe, ovvero, in un certo senso, dalla “nota” che la stringa emette vibrando. 

Complessivamente l'universo appare come una sinfonia cosmica generata dai timbri delle note dovuti alle vibrazioni delle stringhe.

Ebbene, questa visione filosofica concepita da Pitagora più di 2500 anni fa, che unisce matematica, fisica e musica, sopravvive ancora oggi mediante una delle teorie potenzialmente più promettenti della fisica moderna.

Con la Teoria delle stringhe, infatti, che è ancora in fase di sviluppo, i fisici stanno cercando di conciliare la meccanica quantistica con la relatività generale, e sperano di riuscire a costituire la Teoria del tutto.

Mirco Mariucci

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