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giovedì 7 gennaio 2016

Eraclito di Efeso: la logica dell'unità dei contrari e la metafisica dell'eterno fluire.

Rappresentazione artistica della dottrina eraclitea dell'eterno fluire.

Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Eraclito di Efeso (-535; -475) è stato uno dei maggiori pensatori presocratici.

Nacque in una famiglia aristocratica ed era un discendente di Androclo, il fondatore di Efeso, ma ad Eraclito non interessavano né la fama, né il potere, né la ricchezza.

Nonostante avesse diritto al titolo onorifico di basileus, che nella Grecia antica indicava una sorta di re-sacerdote che si occupava degli ambiti religiosi, vi rinunciò.

Il Re di Persia, Dario, lesse il suo libro e lo invitò a corte promettendogli grandi onori, ma il filosofo rifiutò, rispondendo che chi insegue la miserabile follia di placare l'insaziabilità dei sensi e dell'ambizione del potere è condannato a restare lontano dalla Verità.

Si guadagnò l'inimicizia degli Efesini, quando riuscì a convincere il tiranno Melancoma a deporre il potere, abdicando per andare a vivere nei boschi ad aperto contatto con la natura.

Visse in solitudine: prima in un tempio ionico dedicato alla dea Artemide situato nella città di Efeso; poi, nell'ultima parte della sua vita, sui monti, adottando una dieta strettamente vegetariana.

Ma l'aneddoto più stravagante riguarda la sua morte.

Sembra che durante l'eremitaggio si ammalò di idropisia (un accumulo eccessivo di liquidi nel corpo), così tornò nella città e chiese ai medici, in forma enigmatica, se «dall'inondazione fossero in grado di far tornare la siccità»

A questo punto ci giungono diverse versioni della storia, alcune mitiche e leggendarie, altre più plausibili.

Secondo alcuni i medici non compresero il vero significato dell'enigma, per altri invece sì, ma la risposta fu comunque negativa, non avevano idea di come curare il filosofo.

Sembra che per cercare di curare la malattia Eraclito si fece ricoprire di sterco, sperando che il calore generato dalla fermentazione del letame facesse evaporare i liquidi dal suo corpo. 

Per alcuni, stando così disteso, il secondo giorno morì; per altri non essendo più riuscito a staccarsi lo sterco di dosso divenne deforme e irriconoscibile, e fu divorato dai cani!

Aristotele, invece, afferma che Eraclito riuscì a guarire dall'idropisia, ma morì successivamente a causa di un'altra malattia.

Eraclito di Efeso è stato uno dei
maggiori pensatori presocratici.
Al di là degli aneddoti riguardanti la sua esistenza, cerchiamo di cogliere la grandezza del pensiero di questo filosofo, purtroppo, non senza difficoltà.

Eraclito scrisse la sua opera in forma aforistico-oracolare, il che dà origine a una moltitudine di interpretazioni del suo pensiero.

Per questo motivo Aristotele lo definisce «l'oscuro», mentre Socrate ebbe a dire che per penetrare nelle profondità degli aforismi di Eraclito occorre essere come i palombari di Delo.

Il perché di questa scelta stilistica non è noto con certezza. Da una parte si ricollega all'atteggiamento aristocratico di Eraclito, che si potrebbe definire anche iniziatico;

dall'altra potrebbe essere dovuto ad un collegamento forma-contenuto, come se la complessità e la profondità dei contenuti della sua opera dovessero rispecchiarsi nello stile e nella forma utilizzati per descriverli.

Nel pensiero di Eraclito ricorrono spesso dei dualismi espressi mediante contrapposizioni tra “svegli” e “dormienti” o tra “i migliori” e “i più”.

Gli svegli ricercano la realtà autentica del mondo in modo vigile e non si fermano alle apparenze; i dormienti sono incapaci di comprendere se stessi, gli altri ed il mondo.

I migliori vogliono una cosa sola rispetto alle altre: la gloria eterna rispetto alle cose caduche; i più invece pensano solo a saziarsi come animali.

Eraclito era uno spregiatore del volgo, che vedeva nella maggior parte degli uomini degli esseri superficiali che tendono ad avere un sonno mentale così profondo che non gli consente di comprendere le leggi più autentiche.

«Uno è per me diecimila, se è il migliore», ebbe a dire.

Non si limitò solo a spregiare la folla, infatti, criticò apertamente anche i sapienti dell'epoca con la loro saggezza apparente, tipica di chi sa molte cose ma non ha intelligenza di nulla.

«Sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza: l'avrebbe altrimenti insegnato ad Esiodo, a Pitagora e poi a Senofane e ad Ecateo».

Ma qual era questa realtà autentica preclusa ai dormienti? 

Per scoprirla bisogna indagare. Per Eraclito è la Natura stessa ad imporre la ricerca filosofica: essa infatti «ama nascondersi».

Ma questo percorso conoscitivo non è privo di difficoltà: «i cercatori d'oro scavano molta terra, ma ne trovano poco».

E così Eraclito detta le condizioni che rendono possibile la ricerca. La prima di esse, è che l'uomo guardi in se stesso per carpire la legge dell'anima che è, al tempo stesso, legge universale.

«Ho indagato me stesso», egli dice, ma la ricerca interiore rivela profondità infinite: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos»

Per Eraclito il lógos è innanzitutto legge universale che regola tutte le cose secondo ragione e necessità, ma è anche il pensiero umano che comprende questa ragione universale, ed il discorso che esprime questa conoscenza.

C'è un nesso tra la ragione che governa il mondo e quella che governa la nostra mente, per questo la Natura può essere indagata.

La seconda condizione per la ricerca è la comunicazione tra gli uomini. Il pensiero, infatti, è comune a tutti gli esseri umani. 

Ma se il pensiero è comune e tutti partecipano dell'unica legge divina, allora «si deve seguire ciò che è comune a tutti, perché ciò che è comune è generale».

La ricerca non deve volgersi solo a se stessi, ma anche a ciò che accomuna agli altri.

Il lógos, quindi, è la legge suprema che regge tutto, l'uomo, la comunità degli esseri umani e la natura.

«Non ascoltando me, ma il lógos, è saggio intuire che tutte le cose sono Uno e che l'Uno è tutte le cose».

In altri frammenti Il filosofo afferma che il Lógos è immutabile, ma può assumere forme mutevoli.

Eraclito sembra quasi farsi da parte per indirizzare l'ascolto al lógos stesso, non tanto alla sua parola, come se egli fosse il portavoce di qualcosa che da sempre é.

Si viene così a configurare un universo panteistico, ovvero una visione in cui l'Universo o la Natura sono equivalenti a Dio.

Ciò significa che il lógos non è solo ragione, ma è l'Essere del mondo, il senso del tutto che permea il tutto, rivelandosi indirettamente e rendendosi afferrabile tramite l'intuizione.

Ma questa è solo una delle possibili interpretazioni del pensiero dell'«Oscuro»...

Eraclito è anche noto come il filosofo del divenire.

La sua fama è associata al famosissimo aforisma «Pánta rêi», cioè «Tutto scorre», che però non è presente nei frammenti giunti fino a noi, e con molta probabilità è da attribuirsi al suo discepolo Cratilo che sviluppò il pensiero del maestro estremizzandolo fino alle massime conseguenze.

Per Eraclito il mondo è increato ed eterno, un flusso perenne, caratterizzato da un'incessante divenire delle cose:

«Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va».

Così come i pensatori della Scuola di Mileto, anche Eraclito si cimenta nella ricerca nella sostanza primigenia: l'archè; questa sostanza doveva spiegare il divenire con la propria mobilità, per questo Eraclito la individua nel fuoco:

«Nessuno degli dèi o degli uomini ha fatto questo mondo, che è lo stesso per tutti; ma esso è sempre stato, è ora, e sarà sempre un eterno Fuoco, che da una parte si accende e dall’altra si spegne».

Eraclito aveva un’altra dottrina alla quale attribuiva un'importanza perfino maggiore rispetto a quella del perpetuo fluire: la dottrina dell'unità dei contrari.

Una strada, che vista dal basso sembra in salita, può anche essere considerata come una discesa, se vista dall'alto.

Non si conosce veramente che cosa sia la schiavitù senza sapere cosa sia la libertà, così come non si sa che cosa significhi il caldo senza sperimentare il freddo. E così via...

Per Eraclito gli opposti sono interdipendenti, cioè non possono fare a meno l'uno dell'altro, giacché possono essere definiti per opposizione.

Ciò che risulta da due contrari è uno, e l'uno quando si divide dà alla luce i contrari, ma essi non si annullano, bensì esistono in quanto lottano essendo in contrapposizione.

L'armonia per Eraclito non è la sintesi degli opposti, ovvero la conciliazione e l'annullamento della loro opposizione, la vera armonia è la tensione tra i contrasti, come nell'arco e nella lira, che possono funzionare fin tanto che la tensione data dal contrasto tra la struttura e le corde si mantiene in essere.

«Gli uomini non sanno», dice, «quanto ciò che è in disaccordo sia d’accordo con se stesso, è una armonizzazione di opposte tensioni, come quelle dell’arco e della lira».

Esiste un unità del mondo ma è una tensione che non annulla il contrasto bensì lo fa esistere, in quanto è proprio la tensione degli opposti in sé a rendere possibile l'armonia del mondo.

«Le coppie sono al tempo stesso cose intere e cose non intere, ciò che è unito e ciò che è separato, l’armonico e il discordante. L’uno è fatto di tutto e tutto discende dall’uno».

Questa visione cosmologica sfocia nell'identificazione panteistica dell'universo con Dio, inteso come unità dei contrari, mutamento continuo e fuoco generatore:

«La divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Ed essa muta come il Fuoco».

Da ciò che sappiamo Eraclito non fu un uomo dal carattere amabile. Era incline al disprezzo e tutt'altro che democratico. Com'è lecito aspettarsi, Eraclito credeva nella guerra. 

«La guerra», dice, «è madre di tutto e regina di tutto; e alcuni ha reso dèi ed altri uomini, alcuni schiavi ed altri liberi».

A Omero, che aveva detto: «Possa finire questa discordia tra gli dèi e gli uomini!» Eraclito risponde: «Egli non si accorge che sta implorando la distruzione dell’universo; perché, se la sua preghiera fosse esaudita, tutte le cose perirebbero».

E ancora, sui concetti di lotta e guerra:

«Dobbiamo riconoscere che la guerra è propria a tutte le cose e che la discordia è la giustizia, e che tutto nasce e finisce fatalmente attraverso la lotta».

«La lotta è la regola del mondo e la guerra è comune regolatrice e signora di tutte le cose».

Cerchiamo di trarre qualche conclusione in merito al pensiero di questo grande pensatore dell'antica Grecia.

Tra i filosofi della Scuola di Mileto, Talete affermava che tutto fosse fatto d'acqua, Anassimene sosteneva che l'elemento primigenio fosse l'aria, Eraclito preferiva il fuoco. Più tardi Empedocle suggeri che costoro avevano tutti ragione, ma solo in parte: il tutto era formato da terra, aria, acqua e fuoco.

In realtà la chimica degli antichi si fermava qui; per ottenere degli ulteriori progressi bisognerà attendere quando gli alchimisti islamici si misero alla ricerca delle pietra filosofale, dell'elisir di lunga vita e di un metodo per riuscire a trasformare il vil metallo in oro prezioso.

La dottrina dell'unità dei contrari è l'aspetto più originale della filosofia di Eraclito. Si tratta di una concezione logica contrapposta a quella di Aristotele. 

Il primo di questi è il principio di non contraddizione, secondo il quale non si deve negare e affermare nello stesso tempo una stessa cosa.  

Ad esempio, non si può dire «ora piove» e «ora non piove» se ci stiamo riferendo allo stesso momento e allo stesso luogo. 

In altri termini, il principio di non contraddizione esprime che non è possibile, per una stessa proposizione, che questa sia in uno stesso momento sia vera che falsa. 

La prima formulazione del principio di non contraddizione apparve nei dialoghi platonici.

Nel caso della filosofia del divenire, questo principio non è affatto ovvio. 

In una delle sue citazioni più famose Eraclito sostiene che non si entra mai due volte nello stesso identico fiume; ad esempio, il fiume un giorno può essere calmo e il giorno dopo può essere minaccioso, perché magari c'è stato un temporale.

Quindi dire che il fiume o è calmo o non è calmo e che non può esser tutte due queste cose, non ha molto senso dal punto di vista di Eraclito, perché lo stesso fiume può essere sia calmo che non calmo, seppur su tratti o in momenti differenti.

Quando non si pensa più a cose in divenire ma a cose statiche, in generale, non si può più predicare di uno stesso oggetto, in uno stesso momento, una proprietà e la sua negazione.

Ciò non funziona più se s'imbroglia riferendosi a due oggetti distinti, pur mantenendo lo stesso soggetto. Eraclito afferma:

«Il mare è l'acqua più pura e impura: per i pesci è potabile e gli conserva la vita, per gli uomini è imbevibile e mortale»

Il secondo grande principio di quella che divenne la logica classica aristotelica è il principio del terzo escluso.

I latini si riferivano ad esso con la formula “tertium non datur”, che significa “non esiste un terzo caso”, ma se non esiste un terzo caso, ecco che il terzo caso è escluso; da qui deriva il nome “terzo escluso” perché in logica classica non c'è un terzo caso, ce ne sono soltanto due.

Quali sono questi due casi? Una proposizione è vera o la sua negazione è vera, cioè la proposizione è falsa (principio di bivalenza). 

In altri termini il principio del terzo escluso significa semplicemente che quando si parla di logica alla maniera di Aristotele, e non alla maniera di Eraclito, si pensa al vero e al falso come le due uniche possibili alternative. 

Per il principio di bivalenza una proposizione o è vera o è falsa, non può essere tutte e due per il principio di non contraddizione, ma deve anche essere almeno una delle due per il principio del terzo escluso. 

L'idea di quella che poi diverrà la logica classica si delineò nella metafisica di Aristotele e da allora assunse il ruolo di logica su cui basare la matematica e la scienza moderna.

Ma con l'avvento della meccanica quantistica, si scoprì che un quanto può essere allo stesso tempo due rappresentazioni opposte di una stessa realtà (particella e onda). Questo fatto, in un certo senso, riabilitò la logica di Eraclito.

Nella logica quantistica non sono più valide diverse forme di bivalenza, una su tutte quella espressa come "è vero A o è vero non A".

Questo tipo di logica non mantiene più solo due valori di verità (vero e falso), infatti accetta anche la possibilità che qualcosa non sia né vera né falsa allo stesso tempo ma indeterminata.

Una simile logica si discosta da quella aristotelica avvicinandosi a una concezione eraclitea in cui il divenire può essere e non essere contemporaneamente.

La dottrina dell'unità dei contrari di Eraclito si presta a un'ulteriore riflessione.

Il filosofo Hegel vide in essa la nascita della dialettica, arrivando ad affermare che non c'era proposizione nella filosofia di Eraclito che egli non avesse accolto nella sua logica. 

Ma Hegel interpretò la dottrina degli opposti come conciliatoria e armonica. In verità per Eraclito non esiste conciliazione, vi è un'unità negli opposti ma il loro stato perenne è la guerra. 

Per Hegel, invece, gli opposti si conciliano e la loro conciliazioni genera la loro verità. La realtà quindi per Eraclito non è in pace con se stessa, così come riteneva Hegel, ma in lotta. 

Anche per questo Eralicto fu definito un pensatore pessimista e amaro, tant'è che venne artisticamente rappresentato come un piangente che non può ignorare la lotta e la discordia di cui tutte le cose sono costituite e vivono.

Per quando riguarda la metafisica dell'eterno fluire possiamo affermare che è ancora oggi attuale e soddisfacente. 

Se tentassimo di trovare una cosa che non sia soggetta al mutamento dovuto al tempo ne usciremmo sconfitti.

Non solo gli oggetti, ma perfino gli esseri umani non sono gli stessi anche a distanza di un piccolo lasso di tempo.

Ogni giorno miliardi di cellule muoiono e vengono sostituite da altre; la pelle si rinnova ogni 2-3 settimane, il fegato ogni 6 mesi, il cuore ogni anno e perfino le ossa si sostituiscono, anche se con un ciclo più lungo.

Volgendo lo sguardo in cielo, grazie alla moderna astronomia, sappiamo che l'antica credenza dell'immutabilità e dell'eternità dei corpi celesti è falsa.

Passando dal macro al micro, qualche secolo fa si suppose che gli atomi fossero indistruttibili e che ogni cambiamento nel mondo fisico fosse dovuto ad una ricombinazione di elementi persistenti.

Questa teoria prevalse fino alla scoperta della radioattività, quando si scoprì che in realtà gli atomi non erano indistruttibili e che esistevano delle particelle ancora più piccole dette sub-atomiche.

Si suppose allora che quest'ultime godessero dell'indistruttibilità precedentemente attribuita agli atomi. 

Ma in realtà si scoprì che neanche le particelle elementari sono eterne ed indistruttibili unità di materia, poiché esse possono trasformarsi. 

Di fatto, se due di tali particelle, muovendosi nello spazio con altissima energia cinetica, si urtano, nuove particelle di materia possono prender vita dall'energia disponibile, mentre le vecchie scompaiono in seguito all'urto. 

Simili evidenze empiriche sono state frequentemente osservate ed offrono la riprova migliore del fatto che tutte le particelle sono costituite della stessa "sostanza": l'energia. 

L'energia dovrebbe sostituire la materia come entità permanente, ma si dà il caso che l'energia non è ciò che comunemente s'intende per una “cosa”, perché si tratta di una caratteristica matematica dei processi fisici.

Non esiste alcuna sostanza o fluido corrispondente all'energia pura. L'energia non ha una realtà materiale ma è piuttosto un concetto matematico astratto.

A tal proposito, nel suo celebre corso di fisica, il premio Nobel Richard Feynman disse:

«È importante tener presente che nella fisica odierna, non abbiamo alcuna conoscenza di cosa sia l'energia».

Per quanto ne sappiamo, ad oggi, la migliore risposta alla domanda: «Di che sono fatte le particelle elementari?» è «Di nulla». 

Stando a quanto dichiarato dal matematico Martin Gardner, tutto ciò che si può dire sulla realtà di una particella sub-atomica è descriverne le sue proprietà mediante la matematica.

Chi più di altri tra i filosofi si avvicinò a questa concezione è Platone con la sua filosofia delle forme, combinata con il penisero di Pitagora sintetizzato nel motto “Tutto è numero”.

Le particelle elementari descritte da Platone nel Timeo non sono "sostanza" ma forme matematiche, e le forme matematiche utilizzabili al quel tempo erano forme geometriche, in particolare i solidi regolari noti anche come platonici.

Così come nel Timeo di Platone, anche nella moderna teoria dei quanti le particelle elementari, in definitiva, non sono altro che delle forme matematiche, anche se di natura molto più complessa. 

A livello sub-atomico, quindi, è come se la materia si dissolvesse completamente. Ciò che rimane è semplicemente una struttura matematica, come se la matematica fosse l'unica realtà.

Mirco Mariucci

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Fonti:
  • Corso di storia della logica, Piergiorgio Odifreddi
  • Fisica e filosofia, Heisenberg Werner
  • Gardner on Gardner, in Focus – The MAA Newsletter, v. 14, n. 6, dicembre 1994
  • La fisica di Feynman, Richard Feynman
  • Storia della Filosofia occidentale, di Bertrand Russell
  • Storia della Filosofia, di Nicola Abbagnano
  • Eraclito su wikipedia
  • Eraclito su Filosofico

1 commento:

  1. E' il principio della Cultura dell'uomo, l'ellenismo, ha appena 25 secoli, niente rispetto a quanto ancora dovrebbe vivere il pianeta. mi piacerebbe conoscere il pensiero fra 5000 anni, purtroppo è impossibile ma posso immaginarlo anzi proporlo. Il Futuro sarà Biocentrico, finirà la barbarie dell'antropocentrismo biblico.
    Il cervello di questi filosofi era simile al nostro anche se ancora prevaleva la parte limbica rispetto a quella razionale.
    Da cui si notano intuizioni moderne, certo non surrogate da dati scientifici, ma spesso prima viene l'intuizione poi segue la verifica della verità.

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